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11: Originals

Quanto è difficile essere originali? Lo spunto ci viene dalle puntate precedenti, dove abbiamo ospitato band emergenti italiane e ci siamo chiesti quale avremmo messo sotto contratto, se fossimo stati dei discografici. Chi è stato davvero originale? Storicamente quali sono gli artisti che lo sono stati? Vi proponiamo una carrellata di artisti che secondo noi […]

The Afghan Whigs, “Gentleman”

Nell’era della musica digitale, liquida, informe, riscopriamo un disco da ascoltare, osservare, leggere, sfogliare.
Un album che ci racconta molteplici storie, l’eterna lotta di lei e lui negli amori più controversi e dolorosi, conseguenze pesanti sul fisico e sul morale, coinvolgimenti fino alle sfere più profonde dell’anima. Per poi chiudersi con un quesito esistenziale, scritto in lingua italiana alla fine del booklet: quanto dista? Quanto tempo?.
No amici, non scaricatevi “Gentlemen” degli Afghan Whigs, comprate il CD! E’ stato concepito così senza mezzi termini, tanto che una volta inserito nel lettore per leggere i titoli delle canzoni si è costretti a sfogliare il libricino.
Colpisce la sequenza di fotografie della copertina, che ritrae dei bambini che interpretano gli adulti, una storia che finisce e lui, dubbioso, che se ne va.

Il disco è uscito nel 1993 quando al British Pop dilagante si contrapponeva il Grunge americano. Pur nascendo da quest’ultima matrice generatasi attorno all’etichetta Sub Pop di Seattle, gli Afghan Whigs non hanno nulla a che spartire con le sonorità delle rock band con le camicie di flanella.
Greg Dulli, il leader del gruppo di Cincinnati, ha una inclinazione soul e blues che conserva nelle sue estremizzazioni rock. Il risultato è un suono molto saturo di chitarre con la batteria sincopata trascinata dal basso e condotta da una voce roca ed urlata.
Il capolavoro però scaturisce dalla combinazione di molti fattori e non da un singolo acuto: infatti è tutta l’atmosfera del disco che cattura e coinvolge.

Il disco si apre con “If I Were Going”, con il rumore del vento ed una chitarra che si tira dietro la voce sbiascicata e anticipa con alcuni versi il tema di una canzone epica che seguirà qualche traccia più tardi.
Poi un break di chitarre ed arriva la prepotente “Gentlemen” da incorniciare:
Your attention, please
Now turn off the light
Your infection, please
I haven’t got all night
Understand, do you understand?
Understand, I’m a gentleman

Quel pizzico di supponenza da rockstar, ci trascina nella struggente “Be Sweet”, che racconta quanto sia dura la vita del tombeur de femmes quando ferisce a morte la sua preda:
Now that I’m ashamed, it burns
But the weight is off
Now that you’re out of the way
I turn and I can walk
You showed no sympathy, my love
And this was no place for you and me to walk alone

Poi il capolavoro, con quel titolo che sembra il nome di una compagnia aerea Low Cost ma che in realtà significa affascinante, gioviale, disinvolto, cioè “Debonair”. Era nell’aria nell’incipit del disco ma quando arriva lascia senza parole. Persino l’uso del Clap hands, un effetto dozzinale e d’altri tempi, riesce a non stonare. La batteria sembra percorrere una strada parallela a tutti gli altri strumenti, ma in realtà li tiene insieme. E poi le parole di quell’uomo verso questa (o quella) donna…
Hear me now and don’t forget
I’m not the man my actions would suggest
A little boy, I’m tied to you
I fell apart
That’s what I always do
This ain’t about regret
My conscience can’t be found
This time I won’t repent
Somebody’s going down

La tristezza sublime di “When We Two Parted” che sembra una rivisitazione rallentata di “Love Will Tear Us Apart” dei Joy Divisioncolpisce davvero. Una slow song, anch’essa con una batteria inappropriata ed una voce che prima sussurra ed infine urla il suo dolore:
Baby you can open your eyes now
And please allow me to present you with a clue
If I inflict the pain
Then baby only I can comfort you
Out of the night we come
And into the night we go
If it starts to hurt you
Then you have to say so

A questo punto il disco potrebbe anche finire così, sarebbe già sufficiente.
Ma in realtà ci sono ancora 6 canzoni altrettanto intense che per ragioni di ritmo della recensione dobbiamo evitare di scomporre e sottoporvi.

Gli Afghan Whigs sono stati un gruppo impegnativo, difficile da ascoltare con quel loro sound spigoloso e saturo. Per questo nemmeno il fatto di incidere per una major, la Elektra, ha contribuito ad inserirli nel mainstream.
Ma proprio il loro stare “al di fuori” fa si che debbano stare assolutamente all’interno della nostra discografia.
Chi ci legge da sempre questo disco ce l’ha già e lo riscoprirà. Chi invece è giunto qui per caso è bene che colmi la sua lacuna. E risponda alla domanda:
quanto dista? Quanto tempo?.
INIMMAGINABILE.

Tracklist

1. If I Were Going
2. Gentlemen
3. Be Sweet
4. Debonair
5. When We Two Parted
6. Fountain And Fairfax< 7. What Jail Is Like 8. My Curse 9. Now You Know 10. I Keep Coming Back 11. Brother Woodrow / Closing Prayer

  • Titolo: Gentleman
  • Artista/Band: The Afghan Whigs
  • Anno di pubblicazione: 1993
  • Etichetta: Elektra / Sub Pop
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