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11: Originals

Quanto è difficile essere originali? Lo spunto ci viene dalle puntate precedenti, dove abbiamo ospitato band emergenti italiane e ci siamo chiesti quale avremmo messo sotto contratto, se fossimo stati dei discografici. Chi è stato davvero originale? Storicamente quali sono gli artisti che lo sono stati? Vi proponiamo una carrellata di artisti che secondo noi […]

1994

Era la sera del 9 aprile 1994, ero a Stoccarda, in Germania dove vivevo. In quella Detroit senza Motown, quella città senz’anima popolata da gente di rara inconsistenza, un sabato, dopo lo squash noto che gli schermi continuano a proporre l’Unplugged dei Nirvana. Quel viso triste di Kurt Cobain, quella voce stridula, quel maglione improbabile, tutto aveva un sapore amaro. Ad un tratto metto a fuoco il sottotitolo e vedo: Kurt Cobain ist tot ( è morto in tedesco). Un senso di tristezza mi ha accompagnato per tutti quei giorni e la sensazione che un mio coetaneo aveva deciso di abbandonare il mondo che aveva appena contribuito a cambiare mi lasciava un amaro in bocca che nessun dentifricio sapeva cancellare.

Nel bene o nel male quel 1994 fu davvero un anno che cambiò la musica mondiale. E fa davvero impressione sapere che sono passati 20 (fottuti) anni da allora. Il ricordo di quel periodo è ancora vivissimo nella mia non più giovanissima mente. Ricordo l’avvento dell’alt.rock, controcorrente rispetto al grunge, portato in alto dai già celebratissimi Pavement, da quel folletto di nome Beck e la sua scordata “Looser” e dai Sebadoh con il memorabile, fin dalla copertina, “Bakesale”. Nel Regno Unito, chiuso il capitolo Mad-chester, impazzava il Bristol Sound dei Portishead, dei Massive Attack e di Tricky. Quel suono cupo, su basi hip-hop, jazz, soul, dub impazzava in tutti i locali della terra di Albione. A Londra invece le etichette di stampo Jazz come la Mo’ Wax e la Ninja Tunes sfornavano compilation di culto, quali ad esempio i Jazz Brakes di DJ Food: il jazz campionato e remixato invadeva gli alternative dancefloors. Sempre sotto il cielo grigio di Londra altri due simpatici DJ si fanno chiamare The Dust Brothers, in onore dei produttori di uno dei loro album cult, “Paul’s Boutique” dei Beastie Boys. Forse anche per quel sapore funky, old school e dance del disco. Remixavano i St Etienne, i Manic Street Preachers e distribuivano i loro remix da Black Market Records a Soho, in una traversa della mitica Berwick Street. Ai discografici non piaceva però il loro nome, che cambiarono in Chemical Brothers. Dei Beastie Boys va detto che avrebbero raggiunto il loro apice con l’album pietra miliare “Ill Communication”, celebre per il video di “Sabotage”. Malgrado tutte queste nuove sonorità impazzassero nel Regno Unito, c’era ancora molto Brit Pop in giro che a fine Agosto avrebbe visto uno dei suoi momenti più alti con la pubblicazione di “Definitely Maybe” degli Oasis, che comprai da Sister Ray nella sopra citata Berwick Str. Ma la Cool Brittannia aveva già vissuto in primavera uno dei suoi momenti più alti con l’uscita di “Parklife” dei Blur, celebrati con il famoso brano omonimo cantato dall’icona Mod Phil Daniels con il suo celebre accento cockney. Ed infine il secondo e chiacchieratissimo album degli Stone Roses vede la luce in extremis, a dicembre. Da allora aspettiamo ancora il terzo…

Tantissimi alti dischi del 1994 sarebbero da segnalare su queste pagine. Su tutti citerei uno sconvolgente “Downward Spiral” dei Nine Inch Nails di Trent Reznor, registrato nella casa che fu di Sharon Tate su Cielo Drive a Hollywood prima di esservi massacrata dai seguaci di Charles Manson assieme ad altre 4 persone. Le pulsioni primordiali espresse nella spirale discendente del disco sono da brivido e risentono forse della macabra location scelta da Trent, personaggio mai banale della musica contemporanea. Altrettanto poso scontato è Nick Cave ed i suoi semi cattivi, i Bad Seeds che nel 1994 pubblicano uno di quelli che diventerà presto un classico dell’artista australiano, “Let Love In”. Assieme a “Murder Ballads” e “Henry’s Dream” tra i miei preferiti. Un disco per alcuni versi intriso della stessa intensità di “Let Love In” è il debutto di Jeff Buckley dello stesso anno, quel “Grace” passato poi alla storia. Il rocker che malinconicamente cita Edith Piaf e contemporaneamente Nusrat Fateh Ali Khan lascerà un solco profondo. La palma della l’uscita discografica con il peggior tempismo di sempre spetta alla moglie di Kurt Cobain, Courtney Love: a pochissimi giorni dal funerale del marito ecco nei negozi “Live Through This” dei Hole. Mai titolo più profetico, “vivi attraverso tutto ciò”: pubblicato infaustamente si disse poi perché la casa discografica ormai lo aveva già consegnato nei negozi dopo pochi mesi si macchiò nuovamente di nero, con la scomparsa per overdose della bassista Kirsten Pfaff.

“Essential buys” of 1994:

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